Il punto di partenza di questo celebre volume, è una critica
della psicanalisi (di ogni scuola, ma soprattutto
freudiana), accusata di prevaricazione autoritaria in difesa
del capitalismo. Gli autori identificano le ragioni e il
momento di quella involuzione, indagando il meccanismo che
portò Freud dalla scoperta del complesso di Edipo alla sua
formulazione teorica. Dopo aver descritto il funzionamento
del desiderio come produzione e «macchina desiderante»,
analogo al lavoro, gli autori attribuiscono la sua rimozione
originaria alla repressione sociale, timorosa del carattere
rivoluzionario e sovversivo del desiderio. L'inconscio non
sarà piú il luogo del desiderio reale ma un insieme di
credenze e di rappresentazioni indotte (dalla struttura
sociale, dagli agenti familiari, dallo psicanalista).
Deleuze e
Guattari studiano il modo di formazione della
struttura edipica nella società primitiva, in quella
barbarica e nel capitalismo; e giungono a definire il
processo schizofrenico come limite del capitalismo.
Affrontando il rapporto tra psicanalisi e marxismo, l'opera
ha come obiettivo polemico i limiti del freudo-marxismo
tradizionale e del lacanismo, ma anche quelli di alcune
tendenze dell'antipsichiatria. Gli autori impostano, forse
per la prima volta, una premessa epistemologica per una
critica materialistica della psicanalisi, mettendone in luce
le connotazioni ideologiche e idealistiche, a partire dalla
dimostrazione del carattere secondario dell'inconscio
freudiano, e dalla sua concreta articolazione con le forze
sociali e produttive del capitalismo.
Introduzione di Alessandro Fontana
Leggere un testo infatti non è mai un esercizio erudito alla
ricerca dei significati, ancor meno un esercizio altamente
testuale in cerca di un significante, ma un uso produttivo
della macchina letteraria, un montaggio di macchine
desideranti, esercizio schizoide che libera del testo la sua
potenza rivoluzionaria.
(Antiedipo)
L'avvenimento.
Si immagini la storia come una massa globulare, una
nebulosa, con oggetti puntuali inegualmente distribuiti e
stati d'intensità differenziali: insieme aleatorio e
stocastico piú che continuo statistico. Il presente allora
non sarebbe spesso che la derivata di questi oggetti e dí
questi stati, sorta di punti-nodo a partire da cui la storia
non cessa di ricominciare, per produrre nuove intensità e
nuovi oggetti. Il maggio del '68, per il nostro presente, è
uno di questi punti, e sembra ormai d'obbligo riprendere da
qui tutti i fili. Qui la storia sembra ancora una volta aver
ritrovato un suo referente maggiore, una sorta di deriva del
vecchio mondo, l'ancoraggio d'un'ineludibile
contemporaneità, la generatrice del nuovo mondo: sulla spola
del '68 si sdipana confusamente il groviglio delle illusioni
perdute, delle fedi tradite, delle rivelazioni accecanti,
delle morti e trasfigurazioni piú sorprendenti, delle ferite
irrimarginabili, attraversate spesso da nuovi cinismi, da
piú sottili menzogne e da piú crudeli derisioni;
l'indifferenza stessa ha fatto della sua serenità una
maschera (che nasconde spesso la peste, come nel racconto di
M. Schwob).
Ma tutto questo ci sembra umano, troppo umano, troppo legato
alle tortuose strategie delle capitolazioni, patteggiamenti,
conversioni di ciascuno. Commisurare l'avvenimento a queste
oscure intimità personali è ancora un modo per
territorializzarlo, interpretarlo, familiarizzarlo,
domesticarlo: cosa sono queste schiume soggettive rispetto
alla vague de fond della storia? Per questo bisognerebbe un
giorno, al di là del pietismo commemorativo delle nuove
retoriche, analizzare il tipo di avvenimento costituito dal
maggio del '68, come referente nuovo con cui, pare, non si
può piú non fare i conti; bisognerebbe, in altre parole,
determinare il tipo di singolarità ch'esso ha costituito, le
intensità cui ha dato luogo, gli effetti dí senso, l'eccesso
di senso, che ha prodotto. Che tipo di avvenimento, insomma,
è quello in cui paradossalmente sembrano essersi
cristallizzate tutte le rimozioni e tutte le liberazioni,
tutti i tradimenti e tutti gli eroismi, tutti i
misconoscimenti e tutte le rivelazioni? Che tipo di
avvenimento è quello da cui, esplicitamente o meno, prendono
origine tutte le genealogie o a cui vengono ricondotte tutte
le regressioni? Che avvenimento è infine quello in cui la
storia sembra procedere a una rifusione radicale di tutte le
certezze e di tutti i dubbi?
Quest'analisi è forse prematura, se non impossibile: il '68
appartiene alla galassia di cui facciamo ancora parte. Non
si potranno quindi che avanzare delle ipotesi. Forse la
singolarità di questo avvenimento, nella sua purezza, è
stata d'aver costituito il punto d'incrocio simultaneo per
un fascio di serie parallele, convergenti o parzialmente
intersecantisi: la serie-Lenin, la serie-Stalin, la
serie-Mao, la serie-Marx, la serie-Freud, le serie fasciste,
le serie anarchiche, ed altre ancora, con le loro
discorsività, le loro figure, i loro segni e i loro
avvenimenti specifici: una sorta dí superficie di
registrazione complessa, un'intersezione di serie
trasversali, un luogo inesteso d'intensità e di flussi;
un'insieme di molteplicità sul corpo senza organi della
storia; in altre parole, la storia come macchina
desiderante.
Probabilmente l'avvenimento deborda la storiografia
ufficiale e le sue possibilità conoscitive: la storiografia
ufficiale, coi suoi organi istituzionali o privati, non può
che linearizzare l'avvenimento, ancorandolo ad un qualsiasi
significante esterno (all'arcaismo di un qualsiasi
significante dispotico, che ha nell'Edipo il suo
rappresentante). Rispetto a questa storiografia l'
Antiedipo, ove si procede alla strumentazione e al montaggio
della macchina desiderante, rappresenta forse il solo
tentativo rigoroso, fino ad oggi, per pensare l'avvenimento
del '68, liberandolo da tutte le alluvioni agiografiche,
personalistiche, mitiche, religiose ed ideologiche. In
questo montaggio della macchina desiderante come solo
tentativo possibile per pensare l'avvenimento va dunque
individuata la prima, e forse piú importante, chiave di
lettura dell'Antiedipo.
Le tre funzioni discorsive.
L'avvenimento di cui sopra avrà avuto almeno, su ciò che in
mancanza di meglio si definisce il sapere, questo effetto
decisivo: smascherata la funzione delle scienze dette umane
(contrabbandare dietro la finzione dell'«uomo», doppione
immaginario dell'io freudiano, la pratica concreta del
potere di normalizzazione e di controllo disciplinare),
denunciata dagli scienziati stessi la pretesa « autonomia»
delle scienze tout court (con le prove fornite dalle guerre
imperialistiche dell'ultimo decennio), le formazioni
discorsive sembrano ormai articolarsi attorno a tre
questioni ultimative: la questione della verità, la
questione del potere e la questione del desiderio. Il
beneficio teorico del '68 sembra essere proprio questo: la
battaglia discorsiva, in cui, lo si voglia o no, si gioca il
destino del nostro sapere, è già iniziata intorno a questi
tre obbiettivi, una volta sgombrato definitivamente il campo
dal brusio confuso dei discorsi parassitari (che non cessano
per questo di proliferare, piú monotoni e piú insistenti che
mai). Non che si parli di verità, di potere e di desiderio
per la prima volta: il loro affiorare anzi alla superficie
del discorso, come oggetto del discorso, è antico come il
pensiero occidentale, e non ci vorrebbe molto a trovare una
loro prima articolazione nel platonismo greco. Nuova appare,
invece, da una parte, la loro esclusiva radicalità, come se
i discorsi non potessero piú eludere, di qualsiasi cosa
parlino, gli effetti di verità, la connivenza col potere,
l'iscrizione nel desiderio e, d'altra parte, in un movimento
inverso, la loro reciproca appartenenza, come se ciascuna
delle tre funzioni, quale che sia il privilegio accordatole,
non potesse non implicare simultaneamente, e in modi
specifici, le altre due. Nuovo, soprattutto, è il fatto che
verità, potere e desiderio, rappresentano meno oggetti e
referenti del discorso, che il discorso stesso, nei suoi
costituenti immediati, nelle sue modalità enunciative, nelle
sue scenografie testuali, nei suoi dispositivi metodologici.
Discorso della verità, discorso del potere, discorso del
desiderio: ciascuno col suo stile specifico di interrogare,
di ritagliare gli oggetti e i campi d'applicazione, di
montare la macchina teorica; ciascuno col suo ricorso
caratteristico al linguaggio e alla scrittura. In urti modo
o nell'altro, e pur nelle forme della reticenza,
dell'allusività, della presupposizione, del travisamento,
dell'occultazione e della metafora, ciò di cui è questione
nei discorsi, ciò di cui son fatti i discorsi, sono le tre
funzioni, e il loro gioco complesso di appartenenza e di
esclusione: l'inevitabile del nostro dire. t questo
l'effetto discorsivo del '68.
Discorso della verità: non piú il fantasma positivistico di
un reale infine liberato e rivelato, la verità come
trasparenza e rigetto dell'errore, il taglio tra conoscenza
e misconosci-mento, l'accumulo fiducioso delle certezze,
l'esattezza, la conferma e la prova (il modello della verità
scientifica); non questa o quella verità, ma la verità della
verità la verità come causa, non correlata ad alcun sapere,
coi suoi temi della parola piena, del soggetto diviso, del
debito simbolico, del significante maitre e del maestro di
verità, del disvelamento e della finta costitutiva, coi suoi
luoghi deputati (l'inconscio e le sue scene: il sogno, il
lapsus, il sintomo), con la sua tecnologia del transfert e
dello scambio intersoggettivo e col suo imperativo araldico:
Wo es war, soli Ich werden; la verità insomma, che in una
celebre prosopopea, può finalmente dire: moi la vérité, je
park. Il discorso del potere: non piú la vecchia nozione «
feudale» del potere come partizione, agglutinazione,
esproprio, fissazione (modello del potere statale), ma il
potere diffuso capillarmente, con diverse zone d'intensità,
in tutto il corpo sociale, coi suoi agenti collettivi e
privati d'enunciazione (dal pater familias al medico, al
poliziotto, al giudice), con le sue variabili strategie di
applicazione sui corpi e sulle persone, con la sua tendenza
a spostare sempre piú in là i confini del controllabile, del
sorvegliabíle, del disciplinabile; parlare non è piú allora
rivelare o nascondere la verità, né tanto meno comunicarla
(secondo un vecchio ritornello della scienza), ma veicolare
i segni del potere e diffonderne gli effetti; dietro ogni
discorso (quale che sia la sua struttura logico-linguistica)
la grammatica generale di una tecnologia di potere.
Sarebbe forse indebito, in omaggio al feticismo del nome
proprio, ascrivere la proprietà di questi discorsi
unicamente a Lacan da una parte, e a Foucault dall'altra: i
discorsi non appartengono a nessuno, e i nomi propri non
sono che un indice. Quanto alla verità, comunque, Lacan non
ha fatto che ripetere ch'essa emerge come parola piena in un
certo rapporto con l'altro (chi è nel suo caso: Freud, i
suoi pazienti o i suoi uditori devoti, o tutti e tre
insieme? ), e Foucault ci ha insegnato che c'è piú verità
nella parola dell'ultimo dei pazzi che in quella del primo
degli psichiatri; quanto al potere, se Foucault (il Foucault
soprattutto delle lezioni al Collège de France) ne smonta
pazientemente i congegni, Lacan non ignora che ce n'è
ovunque c'è sapere (e una certa sua richiesta recente di
allégeance da parte degli psicanalisti di Vincennes lo
conferma crudelmente). Anche la questione del desiderio era
già posta: come affrancamento dal concetto organicistico di
bisogno in Lacan, come emersione dalle rovine della
rappresentazione in Foucault. Ora, a partire di qui,
l'Antiedipo ha riposto il desiderio al centro, ci ha riposto
nel cuore stesso del desiderio: non piú semplice oggetto di
discorso, nelle forme familiaristiche dell'Edipo, ma
l'enunciazione libidinale di tutte le discorsività, nelle
forme produttivistiche della macchina desiderante. Era già
il discorso di Schreber, di Artaud, di Wolfson, di cui
l'Antiedipo è forse il solo «commento» possibile: seconda
chiave di lettura.
Il desiderio: macchina/ struttura.
Parola di verità, tecnologia del potere, macchina
desiderante: ecco la triplice funzione delle formazioni
discorsive. Ma perché macchina? Si vedrà innanzitutto, nel
paragrafo intitolato L'inconscio molecolare, come la
macchina desiderante non abbia nulla a che fare con le
macchine molari organiche, tecniche e sociali: la molarità
non è altro che il ripiegamento della macchina sul piano
della struttura, macchina che non si forma allora allo
stesso modo in cui funziona e che funziona sul modello e sul
regime estrinseco dell'organismo, della tecnica,
dell'istituzione. Di fronte al molare, dunque, il
molecolare; di fronte alla struttura, la macchina: in una
parola si potrebbe dire che la struttura è dell'ordine della
rappresentazione, e la macchina dell'ordine della
produzione. «Una volta disciolta l'unità strutturale della
macchina, una volta deposta l'unità personale e specifica
del vivente, un legame diretto appare tra la macchina e il
desiderio, la macchina passa nel cuore del desiderio, la
macchina è desiderante e il desiderio macchinato».
L'essenziale è dunque un certo rapporto tra la macchina e la
struttura, tra il molecolare e il molare, tra la produzione
e la rappresentazione: due tecnologie, e due regimi,
d'iscrizione differenziale del desiderio. Iscrivere il
desiderio nella struttura significa infatti sostantificarlo,
legarlo all'organismo come pulsione sempre mancante del suo
oggetto, correlarlo al soggetto in un certo rapporto
intersoggettivo di domanda rispetto all'altro (l'altro
attraverso il cui desiderio il soggetto si costituisce),
mettere in movimento la meccanica infernale della
castrazione e l'istanza simbolica della Legge
(l'interdizione dell'incesto): non è altro che questo
l'operazione edipica nelle forme differenzianti del
simbolico e in quelle identificatorie dell'immaginario.
Ma sussisteva una difficoltà: una struttura non può
costituirsi se non a condizione di disporre di una «casella
vuota», che le permette di funzionare e di far circolare i
suoi elementi: il posto del morto nel bridge, il posto del
re nelle Meninas di VeMzquez, lo zero della serie numerica
di Frege e di Peano: in questo posto vuoto Lacan aveva
installato il suo oggetto a minuscola, sospendendolo
tuttavia al Fallo o gran Significante, che distribuisce la
mancanza nella struttura (avere il pene o mancarne, maschile
e femminile, omosessuale o eterosessuale ecc.) e che le
consente appunto di funzionare in quanto struttura 2; la
casella vuota costituiva comunque il luogo di maggiore
instabilità della struttura, quello che nella teoria
matematica della morfogenesi R. Thom definisce il punto di
catastrofe. Ora l'operazione teorica dell'Antiedipo è
consistita appunto in questo: occupare la casella vuota, non
per installarvi un altro oggetto presente/assente, l'oggetto
a minuscola e il gran Significante, sul piano del simbolico,
ma la macchina desiderante, il desiderio nel cuore del reale
stesso (quel «reale impossibile» di cui appunto la struttura
non può costitutivamente render conto) Bastava vedere che la
casella vuota è il posto della produzione e del reale: il
desiderio allora che funziona come produzione del reale non
ha piú nulla a che fare con la struttura, ma è una macchina
in cui montaggio e funzione coincidono, una macchina
molecolare, la microfisica del desiderio.
D'un tratto si misura la distanza tra questo desiderio, per
la prima volta ricentrato nella sua positività sperimentale
e macchinica, e le vecchie teorie sul desiderio che hanno
attraversato la cultura occidentale, da Platone a Freud: non
piú dunque il desiderio nelle forme privative antiche (il
desiderio come acquisizione), né in quelle
cosmico-libidinali lucreziane (la Voluptas come forza
generatrice dell'universo) , né in quelle penitenziali del
mondo cristiano (il desiderio è ciò di cui si può parlare,
sotto le specie del corpo peccaminoso e colpevole, nei modi
regolamentati della confessione), né in quelle
scenico-teatrali (il desiderio è il «ritorno del rimosso»
nello spazio ambiguo e controllato della scena), né in
quelle filosofiche della teoria delle passioni (il desiderio
come appetito), né infine in quelle medico-penali, a partire
dal XVIII secolo (nelle varie codificazioni
anatomo-patologiche, neurologiche, biologiche, coi loro
correlati giuridici). In un modo o nell'altro, in tutte
queste forme, appare sempre un'iscrizione organica, una
correlazione al soggetto, l'assegnazione di un oggetto
mancante in una variante somatica (teoria dell'istinto),
economica (teoria del bisogno), sintomatico-rappresentativa
(teoria delle pulsioni). La macchina desiderante non è nulla
di tutto questo: il desiderio non è iscritto in alcun
organismo, non è correlato ad alcun soggetto (il soggetto è
prodotto dalla macchina come «pezzo adiacente»), non manca
di nulla, non significa nulla, ma produce e funziona.
Ci si può chiedere a questo punto quale sia stato il
beneficio «politico» dei ripiegamenti rappresentativi del
desiderio: la risposta è immediata, se si accetta una delle
tesi centrali dell'Antiedipo, secondo cui il desiderio è
sempre rivoluzionario, macchina sempre pronta a distruggere
le rassicuranti molarità predisposte dal potere.
L'operazione monotona del potere per «controllare» il
desiderio è sempre stata quindi di iniettarvi la mancanza,
la penuria, la rarità, operazione indispensabile per aver
presa sui corpi (il corpo organico, il corpo economico, il
corpo libidinale): dal momento che manchi di qualcosa, non
potrai fondare le tue richieste che su questa mancanza, e
qui ti terremo: infaticabile ed inesauribile piège della
dipendenza predisposta.
Cosí per secoli, attraverso le pratiche sceniche, la regola
confessionale, la codificazione medica, il potere ha avuto
(facile) presa sul corpo desiderante; sulla mancanza
iniettata, e tramite tutta una strategia complessa, negativa
(repressione) e positiva (allargamento costante dei confini
del controllabile e del sorvegliabile), e tutta una
strumentazione parallela di teorie filosofiche e di pratiche
mediche, penali, criminalistiche, il potere ha trovato le
sue condizioni di funzionamento e il suo campo
d'applicazione.
Contro tutto questo l' Antiedipo: non una nuova teoria
dunque, ma lo smontaggio paziente dell'arsenale edipico di
queste applicazioni (coi suoi paralogismi e i suoi effetti),
e l'indicazione dello spazio reale e del funzionamento
macchinico del desiderio finalmente liberato dalle sue
catene (ivi comprese quelle lacaniane, se ci si consente il
gioco dí parole): terza chiave di lettura, se non prima
indicaziòne di uso.
Come parlarne.
«Promuovere un'altra logica, una logica del desiderio reale,
che stabilisca il primato della storia sulla struttura;
un'altra analisi, svincolata dal simbolismo e
dall'interpretazione; e un'altro militantismo, in grado di
darsi i mezzi per liberarsi da solo dai fantasmi dell'ordine
dominante»': ecco il programma. Che cosa ne resta, oggi, a
tre anni dall'uscita del libro? E come parlarne?
Si affacciano qui due difficoltà, una estrinseca e
contingente, l'altra intrinseca e costitutiva. Prima
difficoltà: libro « singolare», libro-flusso, libro-schiza
(schize), che attraversa, con il passo leggero e insolente
dell'empietà, i piú diversi territori, che rivendica
un'incompetenza necessaria, che non paga i regolari diritti
di dogana, l'Antiedipo non ha potuto che subire ben presto
la sorte degli schizo: del processo si è fatto uno scopo,
del viaggio un territorio, un territorio di piú, un altro
assioma per i flussi liberati e decodificati. Bisognava da
una parte ad ogni costo ridurne la « singolarità», e
renderla accettabile per i vari conformismi locali,
attraverso l'inevitabile parola del giudice (chi ti ha dato
il diritto di parlare? ), del tecnico (perché parli di ciò
che non sai? ), del riparatore (alla peggio, ti faremo
funzionare a modo nostro), dell'imboscato (in ogni modo
tutto questo non esiste). Anche l'entusiasmo, dall'altra,
non ci è sembrato scevro di una certa irritazione (ormai,
non si potrà piú pensare che a partire da qui). Cosí questo
libro, che aveva all'inizio messo il fuoco alla pianura, è
stato ben presto preso nella meccanica dei suoi effetti di
rottura e di disturbo: da una parte una sorta di
surriscaldamento che ha inceppato l'ingranaggio, dall'altra
l'alacre lavoro di cucitura. E, insomma, cessato il primo
allarme, non ci si è detti che in fondo l'Antiedipo è un
libro illeggibile (dunque inutile o comunque inoffensivo)?
Allora la voce notturna poteva levarsi per dire: « dormite
tranquilla, brava gente, non è successo nulla, continuate
pure a dormire e a liberare i vostri desideri nei sogni:
questo non fa paura a nessuno; vi hanno raccontato, ancora
una volta, delle storie».
Storie, hanno detto infatti gli psicanalisti, questo
desiderio nella produzione, questo reale senza dualismi,
questo mondo senza significante, senza castrazione, senza
oggetto, senza legge, senza mancanza, senza fallo: sappiamo
che desiderio è questo di cui ci parlate, è il desiderio
perverso; e poi, l'Antiedipo non è altro che l'ante-Edipo,
il Freud del 1895 (quello non «scientifico», come il Marx
del '44): quindi, parola rassicurante, «la macchina
desiderante funziona, sfatene certi, per l'Edipo». Che farem
senza l'Edipo?
Quanto agli antropologi, non ci risulta che il primato
accordato dall'Antiedipo alla genealogia del debito sulla
struttura dello scambio abbia mutato la rotta degli studi
sui sistemi di parentela primitivi. Dove va a finire, poi,
la teoria delle formazioni sociali, con la sequenza canonica
dei suoi stadi, se il dispotismo asiatico diventa una sorta
di trascendente kantiano che sovrasta tutte le società, lo
Stato dispotico che fa irruzione nel villaggio primitivo,
L'Urstaat che trascina con sé l'orda delle «bionde bestie da
preda, la razza dei conquistatori e dei padroni», la razza
dei fondatori di Stato, la macchina dispotica coestensiva ad
ogni formazione sociale? Peggio ancora: come potrà questo
inconscio molecolare svolgere il vecchio ruolo della
persona, dell'io e della coscienza? E che diventano le
classi, se, nel capitalismo, tutta la differenza passa tra
mezzi di finanziamento e mezzi di pagamento? Storie, tutto
questo: l'Antiedipo non è che la nuova ideologia del
capitalismo prolifico, abbondante, non più il vecchio
capitalismo della penuria, ma il capitalismo
energumeno» — per dirla alla Lyotard — dell'economia
libidinale diffusa in tutti i pori della macchina
produttiva. Quanto agli psichiatri, infine, per chiudere
questo monotono concerto di rumori, le loro obiezioni sono
state quelle, ovvie, dei «funzionari del consenso», per
dirla alla Basaglia: voi non avete mai visto uno
schizofrenico, il rudere autistico (il che a rigore è falso
almeno per Guattari, che ha dietro di sé una lunga pratica
di psichiatria istituzionale); il vostro delirio è gratuito,
il vostro desiderio troppo inumano, la vostra critica della
famiglia troppo radicale perché le nostre terapie possano
funzionare. Che faremo senza lo schizo?
Tra tutti questi rumori, una parola autentica, quella di uno
studente, Pierre Rose, per dire: «È escluso che il lavoro
critico che si avvia con l' Antiedipo diventi un'operazione
universitaria, attività lucrativa dei dervisci dell'Essere e
del Tempo. Esso riprende il suo effetto, conquistato contro
gli strumenti del Potere, nel reale; esso aiuterà in tutti
gli assalti contro la polizia, la giustizia, l'esercito, il
potere di Stato in fabbrica e fuori» era la parola giusta,
quella che indicava, al di là dei rumori, il solo uso
legittimo dell' Antiedipo, ed anche la risposta alla prima
difficoltà: questo libro è uno strumento di lotta, non un
pretesto di «traduzione» o un elegante artificio teorico:
voleva essere soprattutto questo, al l'origine, e in questo
modo deve essere «preso»: il suo luogo di applicazione è la
pratica di lotta contro tutte le tecnologie del potere
(repressivo, punitivo, discipnare, regolomentare), la sua
proposta quella di un nuovo militantismo.
Tutto questo significa dunque che ogni discorso
sull'Antiedipo è destinato a passare à còté, a fallire il
bersaglio? S'annuncia qui la seconda difficoltà,
costitutiva, minaccios ineliminabile, cui non potremo, in
queste rapide «spiegazioni per l'uso», che alludere
insoddisfacentemente. In realtà, se questo libro è veramente
un oggetto, o un luogo, molecolare, fatto di flussi, tagli,
intensità, in cui il senso come avvenimento, singolarità,
paradosso simulacro, molteplicità e trasversalità, non
appare piú tanto come effetto di discorso,
ma come il discorso stesso, il discorso desiderante nella
sua positività macchinica; se dunque questo libro sembra
colmare la distanza tra il disco cave il suo referente, con
i tipi di intelligibilità connessi, iscrivendo direttamente
la scrittura sulla superficie inestesa del corpo senza
organi (corto circuito che delimita lo « scandalo» teorico
dell' Antiedipo), se tutto questo è vero, come si potrà
parlarne? Farne un referente nuovo, non significa infatti
correre il rischio di perderlo rimeodiabilmente,
molarizzando, triangolando, edipizzando da una prospettiva
qualunque una scrittura che si installa d'acchito nella
molecolarità, nell'inconscio produttivo e nel reale? Come
evitare l'insidia, insomma, della rappresentazione?
Difficoltà temibile: la macchina desiderante non è un
referente come un altro, il corpo senza organi non è uno
spazio esteso, l'intensità non appartiene a nessun ordine di
intelligibilità, e il reale sembrava, sino ad oggi,
«impossibile»: un limite, un resto, un déchet della
struttura e del simbolico e nient'altro. Si veda come Lacan
si dibatte in questa difficoltà: per parlare del desiderio
dall'interno dello struttura, e senza passare per l'Edipo,
deve produrre il concetto altamente problematico di a
minuscola, e di qui introdurre la topologia da una parte, e
ricorrere agli «effetti di stile» dall'altra (l'a minuscola
è comunque una grammatica che produce enunciati di
un'assoluta rigorosità, in questo senso): ma al posto del
desiderio c'è la casella vuota, il reale sempre impossibile,
condizione indispensabile perché la topologia possa
funzionare. Ora qui la distanza è colmata: l' Antiedipo non
parla del desiderio a partire dalla casella vuota, ma
installa il desiderio nella casella vuota: non si tratta
solo di «delirare» la struttura, di portarla ad un
funzionamento folle, di far circolare il Jolly
vertiginosamente, ma di fare della casella il posto del
detonatore che fa esplodere la struttura: dopo di che non
resta piú alcuna casella, alcun gioco, ma solo del reale,
della produzione e del desiderio: la macchina desiderante
che produce il reale, pura positività, pura immanenza (anche
se rimane un obbiettivo « tattico» esterno, la critica della
psicanalisi edipica e un'iscrizione topologica paradossale,
il corpo senza organi): una grammatica desiderante
macchinica che produce una scrittura-flusso che è un flusso
di desiderio, ed enunciati incomprensibili e irriconoscibili
per una grammatica «immaginaria» (che riduce, traduce,
commenta, interpreta) e allucinatori e deliranti per una
grammatica «simbolica»: l'Antiedipo non è una teoria come
un'altra, né tanto meno una nuova teoria del delirio.
È probabile dunque che l'Antiedipo inauguri un nuovo uso
della scrittura (non piú correlata alla voce come
supplemento ed esteriorità, come appare alla grammatica
testuale di Derrida) e una nuova pratica della lettura,
lettura desiderante, lettura «parziale», senza referente ed
esteriorità: scrivere come si parla, si è detto, e leggere
come si desidera: e fare della lettura una macchina, non è
forse risuscitare l'Eliogabalo, il Caligola, lo Schreber in
noi? Una nuova tecnologia della scrittura, una nuova
pedagogia della lettura: una parola-scrittura in cui
l'enunciazione coincide con il senso, una lettura in cui non
c'è niente da capire, ma solo da far funzionare. Non è
questa la pedagogia vertiginosa che Klossowski attribuisce a
Deleuze, insegnare l'inenseignable?
Accumuliamo i punti interrogativi per dire che ogni
ricostruzione genealogica, ogni deduzione filiativa (il '68,
le guerre antimperialistiche dell'ultimo decennio, le lotte
puntuali nelle scuole, nelle caserme, negli ospedali
psichiatrici, la psicoterapia istituzionale, l'insegnamento
di Lacan, i movimenti di liberazione della donna, degli
omosessuali, ecc., tutto questo un po' alla rinfusa) non
bastano a generare l'Antiedipo: al massimo lo accerchiano,
lo trascinano nel loro stesso movimento, ma non ne
esauriscono la singolarità e l'eccesso: rimane sempre un
margine in quest'« integrazione » filiativa, uno scarto
incolmabile: nella linea genealogica l'Antiedipo ateo,
orfano e celibe fa figura di bastardo.
Per questo, bisognerebbe forse passare dalla filiazione
all'alleanza, al debito reciproco tra lo stock filiativo di
Deleuze (i concetti avvenimento, di senso, molteplicità,
singolarità, con le figure di Nietzsche, Spinoza, Artaud
sullo sfondo), e lo stock filiativo di Guattari (con í
concetti di trasversalità, macchina, agenti collettivi di
enunciazione, e l'ospedale di La Borde come linea
d'orizzonte)': alleanza sanzionata da un incontro (forse ora
pensabile nella categoria della « gemellità » di cui parla
M. Tournier nelle sue Meteore) che Deleuze descrive in
questi termini:
Bisognerebbe parlare come le ragazzine, al condizionale: ci
saremmo incontrati, sarebbe successo questo... Due anni e
mezzo fa, ho incontrato Felix. Aveva l'impressione che io
fossi più avanti di lui, attendéva qualcosa. In realtà io
non avevo né le responsabilità di uno psicanalista, né le
colpe o i condizionamenti di uno psicanalizzato. Non avevo
alcun luogo, questo mi rendeva leggero, e mi sembrava
curioso quanto fosse miserabile la psicanalisi. Ma lavoravo
unicamente nei concetti, e per di piú timidamente. Felix mi
parlò di quel che chiamava le macchine desideranti: tutta
una concezione teorica e pratica dell'inconscio-macchina,
dell'inconscio schizofrenico. Allora ho avuto l'impressione
che fosse lui in anticipo su di me. Ma, col suo
inconscio-macchina, parlava ancora in termini di struttura,
di significante, di fallo, ecc. Era giocoforza, dato che
doveva tanto a Lacan (come me, del resto). Ma io mi dicevo
che sarebbe andata ancor meglio se si fossero trovati
concetti adeguati, invece di servirsi di nozioni che non
sono neppure quelle del Lacan creatore, ma quelle
d'un'ortodossia che si è costruita intorno a lui. t Lacan
che ha detto: non mi aiutano. Noi lo avremmo aiutato,
schizofrenicamente. E dobbiamo tanto piú a Lacan che abbiamo
rinunciato a nozioni come quelle di struttura, di simbolica
e di significante, che sono pessime, e che lui, Lacan, ha
saputo sempre ribaltare per mostrarne il rovescio.
Allora, se questo libro è una macchina molecolare che non
significa nulla, ma funziona, non vedo che un modo per
parlarne. Sarà innanzitutto una passeggiata (la promenade
dello schizo), un'escursione in visita alle macchine che
ronzano in fondo al giardino; se ne parlerà come Canterei,
l'ingegnere celibe del Locus solus di Raymond Roussel, monta
le sue macchine infernali: congegni di pezzi staccati, di
molteplicità parziali, di avvenimenti singolari: pezzi di
racconto, artifici di crudeltà e di estasi, brani di voci,
effetti di scrittura, ingranaggi molecolari, la testa di
Danton che ripete la frase della ghigliottina. Visita
altamente rischiosa, se le macchine psicotiche di Canterei
si accoppiano con quella paranoica della Colonia penale di
Kafka: non solo allora tutti i segreti del parco saranno
rivelati, ma bisognerà far passare il corpo attraverso gli
ingranaggi: «uno spettacolo che potrebbe spingere a
coricarsi sotto l'erpice. Non accade altro, l'uomo comincia
soltanto a decifrare la scrittura, appuntisce le labbra come
se volesse ascoltare. Lei ha veduto, non è facile decifrare
la scrittura con gli occhi; ma il nostro la decifra con le
sue
ferite».
Montaggio.
Si mettano insieme: í pezzi lavorativi (oggetti parziali, il
corpo senza organi e il pezzo adiacente, il soggetto); tre
tipi di energie (la libido, il numen e la voluptas); tre
modi di sintesi (sintesi connettive d'oggetti parziali e
flussi, disgiuntive di singolarità e catene, congiuntive
d'intensità e di divenire) e si avrà la macchina
desiderante: micromacchina molecolare, macchina
miniaturizzata che funziona tagliando i flussi, che connette
catene eterogenee e trasversali, che produce del reale:
produzione di produzione nelle sintesi connettive della
libido, produzione di registrazione nelle sintesi
disgiuntive del numen, produzione di consumo nelle sintesi
congiuntive della voluptas. Strana macchina, strani
ingranaggi: ma basterà aver capito questo: la macchina
desiderante produce il reale stesso, funziona
nell'infrastruttura, come le macchine produttive sociali,
per quanto con un regime diverso, connettendo e tagliando i
flussi (come stati di divenire, pure intensità), oggetti
parziali (tutto ciò che viene localmente investito dalla
libido, senza alcun riferimento ad una totalità sempre
mancante), incrociando trasversalmente catene e segmenti di
catene polivoche ed eterogenee. La macchina desiderante non
è altro, allora, che l'inconscio che produce, un inconscio
orfano, prepersonale, non-umano: niente che sia dell'ordine
di una soggettività (guarire dal soggetto, anche sbarrato),
di una totalità, di un organismo, di una struttura; niente
che rimandi alla Legge, ad un significante esterno, ad un
fantasma individuale: un inconscio senza colpa, senza
mancanza, senza credenze.
Di qui un certo numero di «effetti»:
a) si riconosce a Freud il merito di aver individuato
l'essenza universale astratta del desiderio (come Ricardo ha
individuato l'essenza universale astratta del lavoro), ma
gli si rimprovera di averlo tosto «territorializzato» nel
quadro della famiglia privata, e di averlo «triangolato»
nell'Edipo (simbolico o immaginario); di aver fatto dunque
di quel che era una fabbrica, un teatro (il sogno, il
lapsus, il fantasma), ripiegando il desiderio dal piano
della produzione al piano della rappresentazione. In questo
senso la psicanalisi non ha inventato l'Edipo, ma ha
appoggiato e rinforzato il movimento di controllo e di
repressione del desiderio da parte delle istanze
socio-politiche, delle macchine dispotiche molari;
b)questa «territorializzazione» è resa possibile da tre
paralogismi, o usi illegittimi di sintesi, caratteristici
dell'Edipo: il paralogismo dell'estrapolazione, che consiste
nell'estrarre dalle catene dell'inconscio un oggetto
trascendente, il Fallo o significante dispotico, che le
linearizza e univocizza, introduce la mancanza nel desiderio
e lo salda alla Legge: la castrazione non è forse altro che
questo uso globale delle sintesi, al posto di quello
parziale e specifico; il paralogismo del double bind, o
«presa doppia»: al posto degli usi inclusivi e illimitativi
delle sintesi connettive, un uso esclusivo e limitativo: il
desiderio viene iscritto o nell'Edipo simbolico ( della
legge e della castrazione), o in quello immaginario delle
identificazioni parentali; paralogismo dell'applicazione: un
uso segregativo e biunivoco delle sintesi congiuntive,
invece dell'uso nomade e polivoco: tutto il contenuto
storico-mondiale del delirio (delirare i continenti, la
storia, le razze) viene allora ripiegato su papà-mamma,
sulla famiglia nucleare, sullo « sporco segretuccio». La
famiglia è dunque il territorio di ripiegamento; l'Edipo
l'insieme delle operazioni che fanno passare il desiderio
dal piano della produzione a quello della rappresentazione,
dal piano del reale a quello del simbolico e
dell'immaginario. È una vecchia storia anche questa, ma
quanto reale: non è tanto la famiglia borghese ad aver
generato l'Edipo, ma è piuttosto, al contrario, un
dispositivo complesso, penale, medico, giuridico, ad aver
tagliato il sociale dal privato, ad aver isolato la famiglia
dal corpo sociale, ad aver innestato il corpo dei genitori
sul corpo dei bambini nella crociata antimasturbazione
(famiglia borghese), ad aver separato il corpo dei bambini
da quello dei genitori (campagna anti-incesto nella famiglia
proletaria), ad aver medicalizzato e psicologizzato i
rapporti genitori-bambini (teorie della perversione, della
degenerazione e dell'anormalità), ad aver infine codificato
tutto questo nei dispositivi raffinati, ontogenetici e
filogenetici, dell 'Edipo (interdetto dell'incesto come
accesso alla Legge, meccanica della castrazione come accesso
al desiderio): la famiglia come fabbrica di « corpi docili»,
i genitori come agenti delegati del controllo e della
repressione. Al posto di tutto questo la schizoanalisi si
propone allora « di esplorare un inconscio trascendentale
invece di metafisico; materiale invece di ideologico;
schizofrenico invece di edipico; non figurativo invece di
immaginarlo; reale invece di simbolico; macchinico invece di
strutturale; molecolare, microfisico invece di molare o
gregario, produttivo invece di espressivo»;
c) a partire dai dispositivi storici d'iscrizione del
desiderio viene delineata una teoria generale delle
formazioni sociali: la società primitiva iscrive il
desiderio sul corpo pieno della terra, la società barbarica
sul corpo pieno del despota, la società capitalistica sul
corpo pieno del capitale-danaro; prima codificazione dei
flussi sul corpo della terra ( scrittura della crudeltà,
filiazione e alleanza matrimoniale), surcodificazione
dispotica (la nascita di Edipo, gran Significante dispotico,
la nascita dello Stato, l'emersione della Legge e
dell'interdetto) e infine assiomatizzazione capitalistica: i
flussi vengono decodificati in un primo movimento di
deterritorializzazione e subito riassiomatízzati nelle
territorialità cliniche dell'Edipo familiaristico; i
rapporti differenziali tra mezzi di pagamento e mezzi di
finanziamento vengono linearizzati dal plusvalore;
l'antiproduzione diventa costitutiva della produzione
(funzione degli apparati burocratici di assorbimento del
plusvalore). Allo stato surcodificante dispotico succede
cosí lo Stato regolatore capitalistico. All'interno della
formazione capitalistica lo schizofrenico appare allora come
il limite, il punto-segno dell'estrema
deterritorializzazione, il corpo senza organi come limite
interno sempre spostato. Allora, si potrà aver presa sullo
schizo, sullo psicotico, facendo della schizofrenia uno
scopo e non un processo, arrestando la «passeggiata»,
ripiegando il corpo senza organi sui terreni arcaici della
perversione e della nevrosi, territorialità controllabili e
rassicuranti: perversioni territoriali (il perverso di
villaggio), psicosi paranoiche (entità dispotiche), nevrosi
edipiche (entità familiari): il corpo senza organi,
superficie inestesa di registrazione, diventa cosí uno
spazio molare, entità clinica per le medicalizzazioni
psicotiche ed edipiche.
L'inconscio produttivo e i suoi effetti; la denuncia della
privatizzazione familiare e delle estrapolazioni edipiche;
la critica del significante e della struttura come molarità
di ripiegamento; la rimozione come effetto secondario della
repressione sociale, attraverso papà-mamma come agenti
induttori qualsiasi; l'indicazione dello schizo come ultima
territorialità, corpo senza organi generato dalla
decodificazione capitalistica cui vengono ad applicarsi le
assiomatiche cliniche, psichiatriche, edipiche; la
distinzione tra istinto di morte, come applicazione del
desiderio molecolare sulle megamacchine molari e la morte
come esperienza e modello nella macchina desiderante, contro
l'assiomatica mortuaria dell'ultimo Freud; la distinzione
tra interessi preconsci di classe e desideri inconsci di
gruppo, e la denuncia della loro manipolazione perché il
desiderio giunga a desiderare la propria repressione;
l'opposizione politica tra il polo paranoico-fascista
dell'investimento libidinale, a livello delle grandi
macchine sociali, e il polo schizofrenico-rivoluzionario, a
livello della macchina desiderante molecolare; la pratica
della schizoanalisi, infine, come «programma» e strategia
calcolata di distruzione degli «strati» del corpo senza
organi (la superficie dell'organismo, l'angolo di
significazione, il punto di soggettivazione)'; come ricerca
del piano di consistenza, uovo intensivo definito da assi e
vettori, gradienti e soglie, spazio inesteso ove il
desiderio non è che laboratorio e sperimentazione (ma
attenti alle disarticolazioni «selvagge» degli strati, che
portano a corpi senza organi svuotati, cancerosi e
fascisti); come accoppiamento infine della macchina
artistica, scientifica, rivoluzionaria: ecco il montaggio,
che non produce nuovi romanzi familiari, piccoli edipi
colpevoli e rassegnati, ma macchine desideranti senza cui
nessuna lotta politica e nessuna rivoluzione sembrano ormai
possibili.
Molare / molecolare.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto: in che rapporto
stanno tra loro il molare e il molecolare? Sono due modi di
pensare o due modi di essere del reale? E come passare dalla
teoria ristretta, che scopre il funzionamento dell'inconscio
molecolare sul corpo senza organi dello schizo, ad una sorta
di teoria generale del corpo senza organi come « sostrato»
universale del desiderio?
Questa è forse la questione piú cruciale posta dall'
Antiedipo, che ci limiteremo ancora una volta a segnalare,
ín attesa degli sviluppi successivi e del secondo volume già
annunciato: qual è dunque il tipo di relazioni (esclusività,
implicazione, correlazione, generazione reciproca) tra
questo inconscio molecolare (in cui alcuni non vedranno che
la vecchia sostanza spinozista, attraversata da intensità
nietzschiane e salvata contro slittamenti metafisici o
ricadute empiriche da una sorta di purezza trascendentale
kantiana), e le molarità diffuse che sembrano accerchiarlo
da ogni parte? Apparentemente, infatti, la molarità è
ovunque: ovunque grandi insiemi, megamacchine tecnologiche,
organiche, istituzionali, ovunque dello strutturale e del
simbolico che ci attraversano da parte a parte; ovunque le
famiglie coi loro edipi, gli Stati con le loro burocrazie, i
partiti con i loro apparati, i gruppi-oggetto con le loro
stereotipie, il potere con le sue tecnologie;
apparentemente, il desiderio non produce che sogni, e,
quanto al linguaggio, esso sembra generato piuttosto da una
grammatica chomskiana che dalla grammatica generale
psicotica; non è vero, infine, che la microfisica è incapace
di spiegare certi effetti morfologici del vivente?
In realtà, se l'inconscio non è altro che il funzionamento
macchinico del desiderio che produce il reale, a livello
molecolare, il molare non rappresenta che l'insieme delle
operazioni di ripiegamento e di applicazione sulla
rappresentazione e sulla struttura, a livello del simbolico
e dell'immaginario. Molare e molecolare non sarebbero dunque
due categorie isotopiche, simmetriche e coestensive, legate
da un rapporto di decisione problematica (l'una o l'altra) o
addirittura di indecidibilità (l'una e l'altra,
indifferentemente) in una sorta di double bind simultaneo,
ma due categorie irriducibili ed eterogenee: molecolare è il
funzionamento effettivo della macchina desiderante, molare è
l'insieme di dispositivi per ripiegare questo funzionamento
sul piano rappresentativo delle strutture: dispositivi che
non operano tanto la rimozione (primaria o secondaria)
nell'inconscio, ma che rimuovono l'inconscio stesso,
facendolo passare dal reale produttivo al simbolico
rappresentativo o all'immaginario fantasmatico. Freud aveva
segnalato un'operazione di questo tipo nel carattere
negativistico nella ragione, che si costituirebbe nella
Verneinung delle pulsioni: in realtà, non si tratta qui solo
di negazione, ma di un insieme complesso di istanze,
altamente positive, cui è stata delegata, almeno a partire
dall'apparizione degli Stati, la funzione di ripiegamento
del reale stesso e della macchina desiderante che lo
produce.
Si misurerà allora la portata dell' Antiedipo: si erano
presi il Significante, il simbolico, la mancanza come forme
costitutive del reale, e correlativamente, come strumenti
concettuali per pensarlo; in realtà non sono che forme
indotte, secondarie: il risultato dell'operazione edipica di
ripiegamento e di applicazione; nient'altro che credenze, un
altro modo per essere pii, una forma piú raffinata di
religiosità. È come se ci dicessero: non avete mai pensato
il reale nella sua produttività molecolare e macchinica (un
reale senza significati e senza interpretazioni) ma avete
pensato quel che ne resta una volta compiuta l'operazione di
ricodificazione e di assiomatizzazione molare: la caverna
platonica, nient'altro che del simbolico e dell'immaginario,
le nostre millenarie abitudini di pensiero.
La molarità comunque esiste. Si tratta allora di mostrarne
il funzionamento e di ritrovare il corpo senza organi: ecco
il programma. Non tanto l'operazione regressiva della
psicanalisi, ma la paziente decostruzione degli strati, alla
ricerca del piano di consistenza, del piano di immanenza del
desiderio ': quel corpo senza organi che l' Antiedipo
indicava come il limite paradossale del capitalismo, il
corpo psicotico dello schizo, appare allora come il sostrato
universale del desiderio disinnestato dalla struttura e
riposto nel cuore del reale: un luogo ove «questo» funziona,
produce, un microlaboratorio, un dispositivo di
sperimentazione, uno spazio in cui voce, gesto, parola e
scrittura si tagliano e si incrociano, ove le molarità
saltano in aria, ove è possibile ricominciare a pensare: un
nuovo modo di fare la letteratura, la scienza, la storia, un
nuovo stile di militantismo, un nuovo programma di
produzione: non è questa la coestensività della storia e
della natura, dell'Homo natura e dell'Homo historia
annunciata dall'Antiedipo?
Certo, installarsi nel microlaboratorio, sotto le macerie
della molarità, non sarà facile; e si vedono ancora male le
forme concrete di funzionamento della macchina desiderante
generalizzata dallo schizo a tutto il corpo sociale: si vede
ancor male a cosa somiglierebbe una società desiderante, in
cui il desiderio si infiltrasse in tutti i pori della
molarità, una società senza organismi, significazione e
soggettività, una società di punti-segno, di intensità e di
flussi: vera e propria eterotopia sul sostrato ovulare del
corpo senza organi. Probabilmente questa eterotopia è, per
il momento, il nostro impensabile. Basterà allora aver
indicato che l'Antiedipo rompe con un certo secolare
progetto di scientificità, e con lo scientismo dilagante del
capitalismo maturo, con le sue normatività, i suoi sistemi,
le sue assiomatiche, le sue credenze, le sue molarità. In
una parola: il mondo non deve essere interpretato, ma
prodotto a partire dagli stati intensivi della macchina
desiderante, ove montaggio, funzionamento e prodotto
coesistono in una indissociabile simultaneità. Basterà aver
indicato gli effetti di questo nuovo materialismo che non ha
piú come esteriorità se non i dispositivi di ripiegamento
nella molarità (istanza critica) e l'ultima, problematica
iscrizione sul corpo senza organi (residualità referenziale:
come se, ancora, i flussi di parola e di scrittura non
fossero possibili senza questa istanza e questa
residualità). Basterà infine, last but not least, aver
indicato gli obbiettivi immediati di questo libro
«dionisiaco», uno dei pochi dopo Nietzsche: farci uscire
dalle credenze, liberarci dalle superstizioni, combattere
contro tutto il «nero» degli appestati morali, degli untori
accademici, dei grandi inquisitori ideologici, degli sbirri
istituzionali, dei mormoni politici e dei quaccheri
culturali. Programma quasi etico. È come se ci dicessero: vi
hanno parlato di un principio di realtà, con cui devono fare
i conti i vostri desideri; è una favola, la favola
millenaria dei cani da guardia, per farvi prendere la (loro)
realtà per i vostri desideri; ora, il principio di realtà è
uno solo: prendete i vostri desideri per la realtà, delirate
la storia, i continenti e le razze, mettete in movimento le
vostre macchine desideranti inceppate. Nient'altro che
questo.
Considerazioni intempestive.
E la psicanalisi, in tutto questo? Sul rapporto tra la
psicanalisi e l'Antiedipo occorre secondo noi dissipare
subito almeno due malintesi quasi inevitabili.
Da una parte, e in primo luogo, bisognerebbe evitare di
prendere l'Antiedipo come l'ennesimo tentativo di conciliare
Marx e Freud, o, se non di conciliarli, di metterli ancora
una volta a confronto: interminabile, e spesso sterile,
impresa di quel che si definisce il freudomarxismo, monotono
lavoro di cucitura o di sgretolamento sul piano molare delle
teorie, con gli strumenti concettuali della mancanza (ha
visto questo ma non quello), dell'ideologia (non ha potuto
vedere questo o quello) del misconoscimento e del diniego
(ha visto ma ha subito occultato). Ora non si tratta tanto
di mettere a confronto le teorie, ma di riprendere la
questione che le genera e le articola nel reale stesso, e
non nei testi; si tratta allora di rimettere il desiderio al
suo posto, nel reale e nell'infrastruttura (quel desiderio
di cui Freud aveva scoperto l'essenza universale astratta)
mostrandone il funzionamento macchinico e produttivo (la
produzione analizzata da Marx a livello delle grandi
macchine molari). Il desiderio come universalità astratta e
il funzionamento delle grandi macchine sociali preesistono
infatti ai testi di Marx e Freud; essi sono il risultato
della decodificazione capitalistica, la questione cosí come
il capitalismo, nel suo funzionamento reale, permetteva di
porla: se poi Marx, nella sua macchina teorica, non sembra
far posto al desiderio, e se Freud fa del desiderio, che è
una fabbrica, un teatro, è meno questione di ideologia, di
misconoscimento o di diniego che la conseguenza del fatto
che il capitalismo ha tutto predisposto per tenere
dissociati produzione e desiderio, per territorializzare
l'uno e molarizzare l'altra, per impedire comunque che la
jonction potesse realizzarsi, proprio perché essa
rappresenta il pericolo mortale per la sua riproduzione. Ora
l'Antiedipo è proprio questo: il luogo della jonction, lo
smontaggio dei dispositivi istituzionali e teorici (la
famiglia e l'Edipo, soprattutto) che non hanno cessato di
scongiurarla, l'innesto della produzione sul desiderio: c'è
solo del desiderio e del sociale, una volta smontati i
meccanismi della privatizzazione familiare e del
ripiegamento edipico, una volta individuati i due tipi
opposti di investimento, investimenti di desiderio
paranoico-fascisti, a livello molare, e investimenti
schizofrenico-rivoluzionari a livello molecolare.
In secondo luogo, e in questo senso, l'Antiedipo non è un
libro contro la psicanalisi, l'ennesimo, dopo quello di
Reich, Marcuse, Fromm e tutti quanti, tentativi laboriosi,
in ultima analisi, per salvare almeno i mobili e ridarle
fiato. In questo senso l'Antiedipo è piú vicino al lirismo
corrosivo di un Miller o di un Lawrence, che già negli anni
'20 denunciava la profonda ostilità contro la vita, in
Freud, la concezione dell'inconscio come luogo di credenze
secondarie e indotte, la legalizzazione scientista della
sessualità cosí come si manifesta dopo la repressione; piú
vicino al Wittgenstein delle Lezioni e conversazioni, quando
diceva:
L'analisi è probabilmente dannosa. Benché si possano
scoprire nel corso di essa varie cose su se stessi, occorre
esercitare una critica severa, acuta, continua, per
riconoscere e guardare attraverso la mitologia che ci viene
offerta o imposta. Qualcosa ci induce a dire, «Sí, certo,
dev'essere cosí». Una mitologia che ha molto potere.
E poi, chi ha paura della psicanalisi? Troppo pochi sono
coloro che rischiano di finire nell'ultima, miserabile
territorialità, il divano, per ritrovare il padre simbolico,
per farsi fare una castrazione tutta nuova, per riscoprire i
piaceri un po' sordidi del vecchio regime penitenziale, con
il flusso di parole mercantilmente tariffato in piú. C'è
qualcosa di profondamente sgradevole, arcaico, malsano in
questa pratica della seduta, tutto un odore di biancheria
dubbia che sprigiona la vecchia famiglia borghese
ottocentesca, con i genitori che ispezionano le lenzuola
alla ricerca di macchie di sperma, con le domestiche che
masturbano i bambini, con i bambini che fantasmano gli
orrori notturni degli amplessi parentali, con gli zii che
seducono, realmente prima, immaginariamente poi, i nipoti;
tutto un brusio fastidioso di sporchi segretucci, di
meschini patteggiamenti, di crudeli autoritarismi, di
inconfessabili tartuferie, di indecorose rivalità, di
sbrigative liquidazioni nella famiglia estesa della prima
generazione di psicanalisti intorno a Freud; con lo spettro
del vecchio Edipo della tragedia che si aggira intorno, e
che ricompare col suo bric-à-brac familiaristico nel teatro
dí La-biche o di Henry Becque. No, tutto questo arcaismo non
fa paura a nessuno, e scrivere un libro contro questa
paccottiglia da retrobottega equivarrebbe veramente a
combattere una battaglia di retroguardia (tanto piú inutile
in un paese come l'Italia, ove vige una sana e secolare
irriverenza per il discorso del prete e le chincaglierie
della sagrestia); contro tutto questo l'Antiedipo si limita
a dire: «c'è odore di vecchio qui dentro; aprite le
finestre, fate circolare un po' di aria! »
Il pericolo è altrove; il pericolo è negli effetti sociali
della psicanalisi, nel discorso diffuso, psicologizzato,
medicalizzato, che si è venuto formando intorno ad essa e
che si è infiltrato, familiarizzando, castrando,
territorializzando, là dove si parla e ovunque si parla ( e
non solo del corpo, del desiderio, dell'affettività): un
nuovo, formidabile strumento, per la sfiatata presse du
cceur e i suoi mentori, per le nuove, e sprovvedute,
pedagogie sessuali, per le inceppate ermeneutiche
accademiche, pronte a barattare l'esausta meccanica
strutturalistica con i piú elaborati congegni del vecchio
freudismo rimesso a nuovo dal significante lacaniano:
insomma per tutto quello che rappresenta, in una società a
corto di fiato, una nuova direzione di coscienza. Nelle
istituzioni reali che non funzionano piú (la scuola, la
famiglia, la caserma, la prigione, l'ospedale psichiatrico)
si inietta il sapere psicanalitico (per una nuova tecnologia
del potere di sorvegliare, di controllare, di punire: non
piú la tecnologia della repressione dei corpi, ma la
tecnologia neoumanitaria, neofilantropica, del controllo
delle anime). L'Edipo, ancora una volta, non l'ha inventato
la psicanalisi; essa lo ha piuttosto generalizzato,
facendone il dispositivo sofisticato del potere
medico-legale tardo capitalistico di normalizzare e di
correggere, quella peste moderna che Freud stesso diceva
curiosamente di portare negli Stati Uniti. Avete mai sentito
parlare un giudice istruttore, un'assistente sociale, un
direttore di prigione, un medico liberale, un curato à la
page, per non citare i direttori di coscienza di certe
rubriche specializzate dei giornali o di certe trasmissioni
radiofoniche o televisive dedicate ai problemi della
famiglia, della «coppia », dell'educazione, della
sessualità? È l'Edipo moderno che parla attraverso di loro,
con tutto l'arsenale di cui è questione in questo libro:
privatizzare sempre, tagliare il familiare dal sociale,
psicologizzare tutto quello che è politico, e poi
colpevolizzare, colpevolizzare a piú non posso, iscrivere il
desiderio nelle piccole territorialità rassicuranti del
neofamiliarismo. Non è che questo la castrazione,
nient'altro che questa miserabile, quotidiana operazione di
ripiegamento del sociale, dello storico, del politico sul
familiare e sul privato. Contro tutto questo, soprattutto
contro questo, si è levato finalmente l'Antiedipo.
Bisognerebbe un giorno mostrare come tutto questo è stato
possibile, e tentare una sorta di storia dell'economia
politica del desiderio, come enjeu e terreno insieme della
lotta incessante tra il corpo e il potere; bisognerebbe
mostrare come, non solo sul piano delle teorie, ma su quello
delle istituzioni e degli avvenimenti, la psicanalisi si
iscriva profondamente in un insieme di pratiche già
elaborate e messe a punto dalla psichiatria ottocentesca. Il
desiderio infatti, nella sua forma pura, astratta ed
universale, altri l'avevano scorto prima di Freud, intorno
ad alcuni casi di criminalità senza movente, senza interesse
e senza scopo, la criminalità sulfurea dei «mostri» nei
primi decenni dell'Ottocento, che scannano, divorano le
vittime e conservano davanti al giudice un'impassibilità
«che fa male». Allora, questo desiderio puro, i magistrati
lo ripiegano nella teoria della perversione delle passioni
mentre i medici giocano, sin dall'inizio, con monotona
regolarità, la carta della «razionalizzazione» in una serie
di codificazioni rassicuranti, come aggiungono, per l'ordine
sociale: sarà cosí la nozione di instinct carnassier nella
frenologia di Gall, la teoria della monomania omicida (e poi
istintiva) in Esquirol, le prime iscrizioni neurologiche
nelle teorie sull'automatismo, fino alla famosa teoria della
degenerazione, col suo correlato familiaristico (la famiglia
patogena, la tara ereditaria), criminalistico
(l'antropometria di Lombroso), neurologico
(l'isteroepilessia), eugenistico (il buon uso dell'istinto
di procreazione, premessa per le posteriori teorie
razziali). Lo specifico della psicanalisi, in questa
genealogia, è consistito allora in questo: nell'aver
iscritto il desiderio nella coppia pulsione/rappresentazione
territorializzandolo nell'ambito controllabile della
sessualità, nell'aver sottoposto il familiarismo
medico-penale ottocentesco alla giurisdizione dell'istanza
simbolico/immaginaria dell'Edipo, con la sua meccanica della
castrazione, della legge, della mancanza, nell'avergli
soprattutto fornito come veicolo espressivo e condizione di
intelligibilità il linguaggio: l'inconscio è « strutturato
come un linguaggio » e quindi parla, parla. Il desiderio
allora, riprendendo il vecchio filo della pratica
confessionale, può rimettersi a parlare: non piú la parola
correlata al peccato, ma alla rimozione; parola non piú del
corpo peccaminoso, ma del desiderio rimosso, che non chiede
remissione, ma interpretazione: la presenza dell'altro,
grande o piccolo, è ineliminabile.
Ma allora si potrà dire: non è forse l'Antiedipo l'ultimo, e
piú elaborato tentativo per rendere intelligibile il
desiderio, per mostrare là ove effettivamente funziona
nell'accoppiamento macchina molecolare desiderante e
macchina sociale produttiva, a livello di un reale
finalmente reso «possibile». Per di piú, anche questo
desiderio macchinico e produttivo preesisteva all'Antiedipo:
era il desiderio che nel '68 inventava nuove scritture,
nuove forme di lotta, nuovi usi della parola, un desiderio
che sembrava aver reso i teatri delle fabbriche, le scuole
dei laboratori, le lotte politiche una sperimentazione
continua. Era il momento in cui veramente la macchina
letteraria, la macchina desiderante e la macchina militante
sembravano accoppiate le une alle altre, per produrre
miracoli. L'Antiedipo non si è levato, ancora una volta, a
cose fatte, nel silenzio desolato dell'indomani della festa,
nel paesaggio sconvolto delle rivoluzioni tradite, per
erigere un monumento teorico all'avvenimento, meta di nuove
devozioni e di più raffinati culti? Tra il '68 passato e
quello futuro, che tipo di ponte gettano libri come questo?
Non è forse fornire nuove armi ai potere, ora che la
«permissività» sembra aver sostituito la repressività e la
coercizione? Mostrare come e dove funziona il desiderio non
significa permettere al potere di spostare ancora piú in là,
sempre piú lontano, sempre piú in fondo, le frontiere delle
sue applicazioni? Questo potere sembra infatti non aver piú
presa sul corpo libidinale, sembra non poter piú applicarsi
ai corpi attraverso la vecchia «sessualità». Il corpo
libidinale pare aver ripreso i suoi diritti; si insegna la
sessualità nelle scuole (cosa succede quanto il godimento,
il piacere, il desiderio stesso diventano un sapere, un
sapere insegnabile? ) e, con un minimo di precauzioni, si
può essere perversi, omosessuali, zoofili, sadomasochisti e
tutto il resto. Se la permissività significa questo: cedere
sul terreno in cui la battaglia è perduta (il vecchio
controllo punitivo degli organismi intermedi, il controllo
istituzionale nella famiglia, nella scuola, negli ospedali,
ecc.) e individuare un nuovo terreno, non piú il desueto
corpo delle pulsioni né l'anima arcaica dei terrori, ma
appunto questo oggetto nuovo, folgorante, il desiderio che
investe tutto il campo sociale, il desiderio come macchina
per produrre il reale, allora l'Antiedipo non rischia di
fornire un nuovo bersaglio al potere disciplinare della «
società permissiva» col suo ordigno infernale: l'apparato
poliziesco piú il discorso psicanalitico, la forma moderna
del terrore?
Il pericolo sussiste di certo, ma il rischio andava corso.
Tutto quello che potranno fare, sarà ancora una volta di
impedire con tutti i mezzi e ad ogni costo il collegamento
tra produzione e desiderio, generatore di effetti
incontrollabili e intollerabili per ogni potere. I
dispositivi della «permissività» non sono stati installati
che a questo fine. Se ora cominciamo a conoscerli, questi
dispositivi, a riconoscerli negli effetti coniugati delle
due funzioni del controllo «permissivo», il poliziotto dove
non arriva lo psicanalista e viceversa (quando non procedono
dí concerto) non rimane dunque che un compito, altamente
positivo: montare le macchine contro ogni scrupolo, mettersi
a farle funzionare contro ogni divieto, stabilire il
collegamento sul corpo senza organi, e vigilare contro la
peste nera che lo asserraglia e lo minaccia da ogni parte.
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