martedì 2 giugno 2020

CERVELLO E COMPORTAMENTO

Il tema filosofico di base che emerge dagli studi moderni di neuroscienza è che ogni comportamento è espressione, di una funzione cerebrale. Secondo questo modo di vedere, condiviso dalla maggioranza dei neurobiologi, la mente può essere considerata come il prodotto di un gruppo di funzioni cerebrali. L'attività cerebrale non solo sta alla base di comportamenti relativamente semplici, come il camminare e il sorridere, ma anche di manifestazioni cognitive ed affettive complesse come i sentimenti, il pensiero o poesia. Ne discende come conseguenza che i disturbi delle funzioni affettive (emozioni) e cognitive (pensiero) che caratterizzano le malattie nervose e mentali devono essere il prodotto di disturbi cerebrali. Il cervello è composto di tante unità costituite dalle cellule nervose e gliali.

Compito delle neuroscienze è quello di spiegare in che modo il cervello guidi queste unità nel controllo del comportamento e come, a sua volta il cervello di un individuo posa venire influenzato sia dall'attività di altre persone che da una quantità di fattori ambientali.

Sono stati proposti due modi alternativi a considerare le relazioni esistenti fra cervello e comportamento

Il modo attuale di considerare i rapporti fra cellule nervose, cervello e comportamento è emerso in epoca relativamente recente, dalla fusione, avvenuta alla fine del diciannovesimo secolo, di quattro classiche discipline sperimentali: la neuroanatomia, la fisiologia, la farmacologia biochimica e la scienza del comportamento. La complessità anatomica del tessuto nervoso non poté essere adeguatamente valutata prima dell'invenzione del microscopio.
Fino al diciottesimo secolo gli anatomici pensavano che il tessuto nervoso avesse funzioni ghiandolari, come aveva proposto Galeno, secondo cui i nervi erano condotti nei quali scorreva verso la periferia fluido secreto dal cervello e dal midollo spinale. L'istologia del sistema nervoso divenne una scienza moderna nel corso del diciannovesimo secolo ed ebbe il suo culmine con le ricerche di Camillo Golgi e Santiago Ramon y Cajal che ottennero insieme nel 1906 il sesto premio Nobel per la medicina. Golgi aveva sviluppato dei metodi istologici di impregnazione argentica che permettevano la visualizzazione di tutto il neurone con i suoi processi, il corpo cellulare, i dendriti e l'assone. Usando la tecnica di Golgi per mettere in evidenza singole cellule nervose, Cajal dimostrò che il sistema nervoso non è costituito da una massa di cellule fuse insieme e che condividono lo stesso citoplasma. Nel corso di questo lavoro Cajal aveva approfondito alcuni concetti chiave e fornito una quantità considerevole di dati sperimentali in favore della dottrina del neurone e cioè del principio per cui il sistema nervoso è composto di elementi distinti, i neuroni appunto, capaci di generare e trasmettere messaggi.
Anche la neurofisiologia, la seconda disciplina scientifica fondamentale per le ipotesi moderne relative alla funzione nervosa, ebbe inizio nel diciottesimo secolo con la scoperta, fatta da Luigi Galvani, che le cellule nervose generano elettricità. Fu ancora nel corso del diciannovesimo secolo che furono gettate le basi dell'elettrofisiologia da Emil Du Bois-Reymond e Herman von Helmholtz.
La terza disciplina, la farmacologia-biochimica ebbe inizio allo scadere del secolo scorso con Claude Bernard, Paul Ehrlich e J.N. Langley, a ciascuno dei quali va ascritto il merito di aver emesso l'ipotesi che alcune sostanze chimiche possono interagire con molecole recettrici specifiche situate sulla superficie delle cellule. Questa ipotesi divenne in seguito la base degli studi moderni della trasmissione sinaptica chimica.
La psicologia, quarta disciplina importante per determinare le relazioni tra cervello e comportamento, è anche la più antica. Nel mondo occidentale le concezioni relative alla mente e all'anima ci sono derivate dall'antichità; nonostante ciò lo studio del comportamento e cioè delle manifestazioni esterne delle attività mentali nel mondo fisico, non fu affrontato su base scientifica fino al diciannovesimo secolo, quando l'opera di Charles Darwin, sull'evoluzione del comportamento, permise alla psicologia di svilupparsi come disciplina indipendente dalla filosofia e di divenire una scienza sperimentale.
La convergenza dell'anatomia, della fisiologia e della scienza del comportamento ebbe inizio con l'opera dei frenologi, capeggiati da un medico e neuroanatomico viennese, Franz Josephf Gall ebbe, all'inizio del diciannovesimo secolo, l'intuizione che le funzioni mentali sono opera del cervello. Egli affermò che il cervello non è un organo unitario ma l'insieme di non meno di 27 diverse aree o centri (altri ne vennero aggiunti in seguito) a ciascuno dei quali corrisponde una funzione mentale specifica. Gall pensava che perfino le funzioni più complesse e astratte come l'amor materno, la generosità o la riservatezza fossero localizzate separatamente in aree circoscritte della corteccia cerebrale. Gall e i frenologi pensavano anche che i centri deputati a ciascuna funzione mentale potessero svilupparsi ed aumentare di dimensioni con l'uso, come accade per i muscoli in seguito all'esercizio. Quando un centro si espandeva determinava il formarsi di particolari protuberanze sulla superficie cranica e si riteneva che la localizzazione di questi «bernoccoli» riflettesse lo sviluppo di zone particolari del cervello sottostante (Fig. 1-1). Mettendo in relazione la personalità individuale con le protuberanze della superficie cranica, Gall cercò di sviluppare una nuova scienza obiettiva atta a descrivere il carattere sulla base dell'anatomia cerebrale, la c. detta «personologia anatomica».

1- 1 I frenologi hanno tentato di localizzare le funzioni cerebrali superiori sulla base dei solchi e delle sporgenze presenti sulla superficie cranica. Questa mappa cerebrale, presa da un disegno della prima metà del XIX secolo, distingue più di 35 facoltà intellettuali ed emotive e le localizza in singole aree distinte della corteccia cerebrale. (Modificata da Spurzheim, 1825.)


Questa concezione estremizzante e fantasiosa rappresentò un facile bersaglio per Pierre Flourens, un neurologo francese del diciannovesimo secolo. Con l'ablazione di diverse aree cerebrali negli animali da esperimento Flourens cercò di stabilire il contributo specifico delle singole parti del sistema nervoso nel determinare il comportamento.

Flourens concluse che non esiste una localizzazione particolare per le funzioni mentali, ma che il cervello, e specialmente la corteccia cerebrale, agisce in maniera unitaria per determinare ogni funzione cerebrale. Egli propose perciò che qualsiasi parte della corteccia cerebrale è in grado di eseguire ognuna delle funzioni corticali. Una lesione limitata ad una singola area corticale doveva perciò influire in ugual misura su tutte le funzioni superiori. La rapida e quasi generale accettazione di questa credenza (chiamata in seguito teoria dei campi cerebrali associati) era basata solo in parte sul lavoro sperimentale di Flourens. Essa rappresentava anche una reazione filosofica contro le ipotesi estreme dei frenologi sulle localizzazioni cerebrali.

AIla fine del diciannovesimo secolo il neurologo britannico J. Hughlings Jackson si oppose all'ipotesi dei campi cerebrali associati proposta da Flourens. Gli studi clinici di Jackson sull'epilessia focale, forma morbosa nella quale le convulsioni hanno inizio in una parte determinata del corpo, dimostravano che singole attività motrici e sensitive potevano venir localizzate in parti diverse del cervello. Questi studi furono in seguito elaborati sistematicamente dal neurologo tedesco Carl Wernicke e da Cajal in un'ipotesi alternativa del funzionamento cerebrale detta connessionismo cellulare. Secondo questa teoria, i neuroni sono le unità responsabili dei messaggi del sistema nervoso e sono connessi l'un l'altro in maniera precisa. Wernicke dimostrò che le manifestazioni del comportamento sono mediate da regioni cerebrali specifiche attraverso vie ben localizzabili che mettono in rapporto strutture sensitive con strutture motrici.
La storia della diatriba fra i sostenitori dell'ipotesi dei campi cerebrali associati e quelli del connessionismo cellulare può essere bene illustrata analizzando il problema del linguaggio e cioè la funzione umana più caratteristica e elevata. Prima di considerare gli studi clinici ed anatomici più importanti relativi alla localizzazione del linguaggio, può essere utile dare uno sguardo alla struttura del cervello.

(Di : Eric R. Kandel).


Ogni zona del cervello è specializzata per una funzione particolare

Il sistema nervoso centrale è costituito da un insieme di strutture bilaterali e fondamentalmente simmetriche fra le quali si possono distinguere sei parti principali.


1) Il midollo spinale, che è la parte più caudale del sistema nervoso centrale, riceve informazioni dalla cute, dalle articolazioni e dai muscoli del tronco e degli arti ed invia comandi motori sia per il movimento riflesso che volontario.
2) Il bulbo, che rappresenta l'estensione rostrale del midollo spinale.
3) Il ponte e il cervelletto (localizzato dorsalmente rispetto al ponte) sono situati rostralmente al bulbo. Il cervelletto è in rapporto con la regolazione della forza e della precisione del movimento
4) Il mesencefalo sta cranialmente al ponte, interposto fra le formazioni dette del rombencefalo (bulbo, ponte e cervelletto) e quelle del proencefalo (diencefalo e corteccia cerebrale).

Il bulbo, il ponte e il mesencefalo, chiamati globalmente tronco dell'encefalo, esercitano un ampio spettro di funzioni. Il tronco dell' encefalo contiene numerosi nuclei cellulari che costituiscono i nuclei dei nervi cranici. Alcuni di questi nuclei ricevono informazioni dalla cute e dai muscoli del capo nonchè la maggior parte delle informazioni provenienti dagli organi di senso specifico dell'udito, dell' equilibrio e del gusto. Altri nuclei controllano i movimenti dei muscoli della faccia, del collo e dei bulbi oculari. Un'altra struttura importante del tronco encefalico è costituita dalla formazione reticolare diffusa, che è importante nel determinismo del livello di vigilanza e di coscienza.

5) Il diencefalo comprende due strutture chiave di raccordo. Una, il talamo, analizza la maggior parte delle informazioni provenienti dal resto del sistema nervoso che raggiungono la corteccia cerebrale. L'altra, l'ipotalamo, presiede alla integrazione dei segnali provenienti dal sistema nervoso autonomo, dal sistema endocrino e dai visceri.
6) Gli emisferi cerebrali comprendono i nuclei della base e la soprastante corteccia cerebrale. Sia la corteccia che i nuclei della base presiedono alle più alte funzioni percettive, cognitive e motrici.

I particolari rapporti fra queste diverse strutture chiave sono illustrati nelle Figg. 1-3 e 1-4. I recenti progressi delle tecniche di rappresentazione iconografica permettono oggi di visualizzare questi rapporti nel vivente (Fig. 1-4B).



Perciò le diverse regioni del cervello sono specializzate per funzioni differenti. Una delle ragioni per cui questa conclusione sfuggì così a lungo a Flourens e a tanti altri ricercatori sta in un altro principio insito in quel tipo di organizzazione del sistema nervoso, che potremmo chiamare delle analisi in parallelo. Come vedremo in seguito molte funzioni sensitive motrici e mentali seguono più di una via nervosa. Quando viene danneggiata una regione o una via, altre vie sono spesso in grado di compensare parzialmente il danno, attenuando in tal modo le prove della localizzazione che derivano dall'alterazione del comportamento. Tuttavia, la precisione con cui sono realmente localizzate certe funzioni superiori può essere messa chiaramente in luce studiando la funzione del linguaggio.

(Di : Eric R. Kandel).
 


Le funzioni cognitive sono localizzate nella corteccia cerebrale

Per capire le localizzazioni della funzione del linguaggio è necessario considerare prima di tutto la corteccia cerebrale. La corteccia di ciascun emisfero è suddivisa in quattro regioni anatomicamente distinte, detti lobi: i lobi frontale, parietale, occipitale e temporale.




Ciascuno di questi lobi è specializzato per una certa funzione. Il lobo frontale è in buona parte deputato alla programmazione e alla esecuzione del movimento, quello parietale alla percezione delle sensazioni somatiche, il lobo occipitale è connesso con la visione e quello temporale con l'udito, l'apprendimento e la memoria.


Ciascun lobo possiede una serie di circonvoluzioni o ripiegamenti caratteristici (un vecchio stratagemma escogitato dall'evoluzione biologica per aumentare la superficie cerebrale). Le parti sporgenti delle circonvoluzioni sono chiamate giri. Gli avvallamaenti che li separano sono detti solchi o scissure. I giri e i solchi principali sono simili in tutti gli individui e prendono nomi specifici che indicano la loro rispettiva localizzazione ovvero la loro posizione reciproca (per esempio giro precentrale, solco centrale e giro postcentrale).
L'organizzazione della corteccia cerebrale è caratterizzata da due importanti peculiarità. In primo luogo ciascun emisfero e in rapporto con i processi sensitivi e motori della parte contralaterale del corpo. Le vie afferenti che entrano nel midollo spinale dal lato sinistro si incrociano e passano nella parte destra del sistema nervoso (sia già a livello del midollo spinale o, più cranialmente, a livello del tronco dell'encefalo) prima di raggiungere la corteccia cerebrale. Analogamente le aree motrici di un emisfero esercitano il controllo sui movimenti della metà opposta del corpo. In secondo luogo, gli emisferi cerebrali sebbene abbiano una struttura in gran parte, simile, non sono tuttavia del tutto simmetrici e, di conseguenza, non sono completamente equivalenti dal punto di vista funzionale.

La maggior parte delle nostre conoscenze relative alla localizzazione delle strutture deputate al linguaggio è derivata dallo studio delle afasie, che sono disturbi del linguaggio presenti, in generale, in pazienti vittime di un ictus dovuto, per esempio, all'occlusione di un vaso sanguigno che si distribuisce ad una determinata regione della corteccia cerebrale. La maggior pare delle scoperte più importanti nel campo delle afasie, ha avuto luogo, in rapida successione, nell'ultima metà del diciannovesimo secolo, costituendo uno dei capitoli più esaltanti della storia della psicologia umana.

La scoperta iniziale avvenne nel 1861 con la pubblicazione di una memoria scientifica da parte del neurologo francese Pierre Paul Broca. Broca descrisse il caso di un paziente che era in grado di capire il senso del linguaggio ma aveva perso la capacità di parlare. Il paziente non presenta i classici deficit motori. Poteva pronunciare senza difficoltà parole isolate o cantare una melodia ma non riusciva ad organizzare un discorso. Non poteva formulare frasi compiute nè esprimere per iscritto le proprie idee. L'esame autoptico del cervello mise in evidenza una lesione nella parte posteriore del lobo frontale (area che porta oggi il nome di area di Broca.



In seguito Broca fu in grado di osservare 8 casi analoghi, ciascuno dei quali presentava una lesione di quell'area. In tutti i casi la lesione era presente nella metà sinistra del cervello. Questa scoperta condusse Broca a formulare, nel 1864, uno dei principi più famosi relativi alla funzione cerebrale: Nous parlons avec l'hémisphère gauche! (Parliamo con l'emisfero sinistro!).
Broca notò inoltre che tutti i pazienti con disturbi del linguaggio dovuti a lesioni dell'emisfero sinistro erano destrimani e presentevano una paresi o una paralisi della mano destra. Questa osservazione condusse a sua volta all'affermazione del principio, di carattere generale, per cui esiste una relazione crociata fra dominanza emisferica e uso preferenziale della mano.
Le ricerche di Broca stimolarono più ampie ricerche di localizzazioni cerebrali relative a funzioni comportamentali, ricerche che furono rapidamente coronate da successo. Nel 1870, nove anni dopo la scoperta iniziale di Broca, Gustav Theodor Fritsch e Eduard Hitzig misero a rumore il mondo scientifico con la scoperta che nel cane è possibile determinare singoli movimenti degli arti stimolando elettricamente il giro precentrale posto davanti al solco centrale. Fritsch e Hitzig dimostrarono inoltre, che esisteva una rappresentazione corticale dei singoli gruppi muscolari e che la regione corticale relativa a ciascun gruppo era piccola e ben individuabile.
Un passo successivo fu fatto da Carl Wernicke nel 1876. All'età di 26 anni (era laureato in medicina da solo 4 anni) Wernicke pubblicò un lavoro, ora divenuto classico, intitolato «La sindrome dell'afasia: studio psicologico subase anatomica». In questo lavoro Wernicke descriveva un nuovo tipo di afasia. L'afasia di Wernicke è caratterizzata da un disturbo della comprensione del linguaggio e non della pronuncia delle parole (cioè un disturbo della recezione e non della espressione). Mentre i pazienti di Broca capivano ma non riuscivano a parlare, quelli di Wernicke parlavano ma non riuscivano a capire. Il nuovo tipo di afasia di Wernicke aveva anche una localizzazione diversa da quella descritta da Broca: era dovuto a lesioni della parte posteriore del lobo temporale dove questo si unisce al lobo parietale e a quello occipitale.
Oltre a questa scoperta, Wernicke formulò una teoria del linguaggio che tentava di riconciliare ed estendere le due preesistenti teorie sulle funzioni cerebrali. I frenologi avevano postulato che la corteccia fosse un mosaico di funzioni specifiche e che anche gli attributi mentali astratti fossero localizzati in singole aree corticali altamente specializzate. I sostenitori della teoria dei campi cerebrali associati sostenevano invece che le funzioni mentali non erano affatto rappresentate in maniera topografica, ma distribuite uniformemente nella corteccia cerebrale. Wernicke fece uso sia dei suoi risultati che di quelli di Broca e di Fritsch e Hitzig per sostenere che soltanto le funzioni mentali di base, in rapporto con attività percettive e motrici semplici, sono localizzate in aree corticali ben delimitate. Le singole aree deputate a queste funzioni semplici sono poi variamente connesse fra di loro. Perciò, secondo tale teoria le funzioni intellettuali più complesse (quelle alle quali si riferivano i frenologi) prendono origine dall'interazione delle diverse aree cerebrali deputate alle attività percettive e motorie semplici e sono mediate dalle vie nervose che le interconnettono.
Aggiungendo all'ipotesi di un cervello visto come mosaico di localizzazioni quello di una pluralità di connessioni fra i centri, Wernicke mise in luce il concetto.che una stessa funzione può venir elaborata sia in serie che in parallelo in diverse regioni cerebrali, mentre i singoli componenti specifici della funzione vengono analizzati in sedi particolari. In tal modo Wernicke fu il primo a formulare l'idea di analisi nervose svolte sia in parallelo che in serie, idea che ha assunto un'ímportanza particolare nel pensiero biologico moderno.
Wernicke postulò che l'espressione del linguaggio necessita l'intervento di zone sensitive e motrici distinte. Egli emise l'ipotesi che l'area di Broca controlli il programma motorio che coordina i movimenti della bocca necessari per un discorso coerente, compito questo per il quale l'area di Broca sembra localizzata in modo particolarmente adatto, situata com'è immediatamente al davanti dell'area motoria che controlla la bocca, la lingua, il palato e le corde vocali. Wernicke attribuì la scelta delle parole, e cioè la componente sensitiva del linguaggio, all'area del lobo temporale che aveva scoperto. Anche quest'area è localizzata in modo opportuno in quanto è circondata dalla corteccia uditiva e da altre aree corticali (dette cortecce associative) che integrano informazioni visive ed acustiche in percezioni complesse. Wernicke formulò così un modello coerente, anche se un po' semplicistico, del linguaggio che è utile tuttora. Secondo questo modello, le percezioni acustiche e visive relative al linguaggio si formano nelle rispettive aree sensitive e associative e convergono quindi nell'area di Wernicke, dove vengono riconosciute come linguaggio scritto o parlato. Senza questo riconoscimento, la comprensione del linguaggio è perduta. Avvenuto il riconoscimento, la rappresentazione nervosa è inviata dall'area di Wernicke a quella di Broca dove viene trasformata da rappresentazione acustica (o visiva) in linguaggio parlato (o scritto). Se questa trasformazione manca, la capacità di articolare il linguaggio è perduta.
Usando questo efficace modello Wernicke predisse un altro tipo di afasia che fu clinicamente scoperto più tardi. Questo tipo di afasia è prodotto da una lesione completamente diversa da quella presente nelle afasie di Broca e di Wernicke: le aree recettive e motrici del linguaggio sono indenni, ma sono lese le vie che le connettono, viene interrotto cioè il fascicolo arcuato che decorre nella regione parietale inferiore. La sindrome che ne deriva, chiamata in seguito afasia di conduzione, è caratterizla dall'uso non appropriato delle parole (parafasia). I pazienti affetti da parafasia non riescono a ripetere perfino semplici frasi anche se sono in grado di capire le parole che hanno ascoltato e letto; parlano correntemente ma non correttamente, tralasciando sillabe e introducendo suoni sbagliati nelle parole. Essi si rendono anche conto con dispetto dei propri errori, ma non sono in grado di correggerli.
All'inizio del ventesimo secolo esistevano quindi, prove convincenti che piccole aree corticali presiedono a comportamenti specifici. Tuttavia, il modo di vedere le funzioni cerebrali allora dominante non era quello sostenuto dalla teoria del connessionismo cellulare, ma piuttosto quello proposto dalla teoria dei campi cerebrali associati.
Anche durante la prima metà di questo secolo numerosi importanti ricercatori nel campo delle neuroscienze, fra cui il neurologo inglese Henry Head, il neuropsicologo tedesco Kurt Goldstein, il fisiologo russo del comportamento Ivan Pavlov e lo psicologo americano Karl Lashley, continuarono a sostenere la teoria dei campi cerebrali associati. Il più influente fra i proponenti di questa teoria fu Karl Lashley, professore di psicologia ad Harvard. Seguendo la scia del suo predecessore Flourens, Lashley tentò di trovare la localizzazione cerebrale delle funzioni dell'apprendimento, studiando nel Ratto gli effetti di varie lesioni cerebrali sull'esecuzione di un compito complesso, come quello di imparare a orientarsi in un labirinto. Lashley non fu in grado di trovare alcun centro specifico per l'apprendimento; la gravità dei difetti d'apprendimento determinati dalle lesioni cerebrali sembravano dipendere dall'estensione delle lesioni, piuttosto che dalla loro particolare sede. Questa osservazione condusse Lashley e, dopo di lui, altri psicologi a concludere che l'apprendimento non aveva una localizzazione particolare e che perciò non poteva essere messo in relazione con neuroni particolari.
Lashley, sulla base di queste conclusioni formulò una teoria della funzione cerebrale detta dell'azione di massa. Questa teoria minimizzava l'importanza dei singoli neuroni e delle connessioni interneuronali specifiche. Ciò che risultava importante secondo la legge dell'azione di massa era la massa cerebrale interessata a una funzione e non la disposizione strutturale dei neuroni.
Applicando questo tipo di logica alle afasie, Head e Golstein conclusero che i disturbi del linguaggio non possono essere attribuiti a lesioni specifiche ma sono la conseguenza di alterazioni di pressoché tutte le aree corticali. Questi Autori affermavano che l'entità del danno corticale, indipendentemente dal sito della lesione, determina nel paziente una regressione da un linguaggio altamente simbolico ad un'espressione verbale semplice e automatica: da un linguaggio astratto a quello più concreto caratteristico delle afasie.
Più recentemente, i lavori di Lashley e di Head sono stati reinterpretati. Diverse ricerche hanno dimostrato che il test del labirinto, cioè il compito usato da Lashley, è inadatto per lo studio delle localizzazioni funzionali perché in realtà comporta una serie di complesse prestazioni motorie e sensitive. L'animale, pur privo di una facoltà, è ancora in grado di apprendere con un'altra; inoltre, una serie di importanti progressi clinici e sperimentali, hanno rafforzato notevolmente le prove in favore della teoria delle localizzazioni cerebrali. Sul finire degli anni '50 Wilder Penfield ebbe la possibilità di stimolare la corteccia di pazienti svegli, nel corso di operazioni cerebrali eseguite in anestesia locale per la localizzazione di foci epilettici. Per assicurarsi che le manipolazioni chirurgiche non compromettessero le facoltà del linguaggio del paziente, Penfield stimolava la corteccia per individuare le aree la cui stimolazione determina alterazioni del linguaggio. Le sue osservazioni, basate su quanto riferivano i soggetti, confermarono in pieno le localizzazioni indicate dagli studi di Wernicke.


Aree della corteccia cerebrale (puntini neri) la cui stimolazione elettrica determina arresto del discorso. L'addensamento dei punti posti anteriormente è situato
in corrispondenza dell'area di Broca; il gruppo di punti posti posteriormente è sovrapposto all'area di Wernicke. (Modificata da Penfield e Roberts, 1959.)
Penfield, inoltre, estese gli studi di Fritsch e Hitzig all'Uomo; egli dimostrò che i muscoli del corpo erano rappresentati topograficamente in maniera molto dettagliata e che la mappa che ne risultava formava un homunculus notorio.


 L'homunculus dell'area motrice (giro pre-centrale) dell'emisfero cerebrale dí destra mostra la localizzazione corticale dei vari muscoli della metà contralaterale del corpo. La mappa è stata ottenuta con la stimolazione elettrica diretta della corteccia cerebrale umana. La rappresentazione della superficie del corpo mostra sia la sequenza delle zone rappresentate sia la sproporzione con cui sono rappresentati i muscoli interessati nei movimenti fini. (Modificata da Penfield e Rasmussen 1950.)
Recentemente questi studi clinici sono stati estesi ad Harvard da Norman Geschwind che è stato tra i primi ad affrontare lo studio moderno delle localizzazioni funzionali nella corteccia cerebrale umana. Anche i risultati sperimentali, ottenuti applicando al sistema nervoso centrale indagini a livello cellulare, hanno condotto a conclusioni analoghe. Per esempio gli studi fisiologici sullo sviluppo cellulare hanno dimostrato che le connessioni reciproche delle diverse cellule nervose sono fisse e precise. Di conseguenza ogni cellula può rispondere soltanto a certi stimoli sensitivi specifici e non ad altri.

Anche i tratti affettivi della personalità e del carattere sono localizzabili anatomicamente

Nonostante le convincenti prove relative alla localizzazione delle funzioni cognitive connesse con il linguaggio, rimase tuttavia viva l'idea che le funzioni affettive o emotive non fossero localizzabili. Le emozioni, si diceva, devono essere espressione delle funzioni di tutto il cervello, una sua proprietà globale. Solo recentemente questo modo di vedere è andato modificandosi. Sensazioni emotive specifiche possono essere evocate dalla stimolazione di regioni cerebrali specifiche negli animali da esperimento. Le tre dimostrazioni più chiare tuttavia ci sono derivate dallo studio di pazienti portatori di certi tipi di disturbi del linguaggio, da altri affetti da una forma particolare di epilessia che ha origine nel lobo temporale e dai pazienti di forme ansiose acute (attacchi di timor panico).

Oltre agli aspetti formali del linguaggio rappresentati nelle aree di Wernicke e di Broca dell'emisfero sinistro, esiste anche una componente affettiva del linguaggio che consiste sia nell'intonazione musicale del discorso (prosodia) e nelle sincinesie emotive che lo accompagnano, che nella comprensione di queste componenti affettive. Elliot Ross, della Università del Texas, e Kenneth Heilman, della Università di Florida, hanno osservato recentemente che queste componenti affettive del linguaggio sono rappresentate nell'emisfero destro e che la loro organizzazione anatomica è l'immagine di quelle dell'emisfero sinistro che sono preposte agli aspetti cognitivi del linguaggio. Una lesione dell'area temporale destra, omologa a quella di Wernicke dell'emisfero sinistro, determina disturbi della comprensione delle componenti emotive del linguaggio, mentre una lesione dell'area frontale destra, omologa a quella di Broca, determina un'alterazione della capacità di esprimere queste stesse componenti. Perciò anche i disturbi affettivi specifici del linguaggio, detti aprosodie, possono essere localizzati in particolari regioni del cervello e possono venir classificati come sensitivi, motori e di conduzione, analogamente alle afasie.
Un secondo argomento, favorevole alla localizzazione delle funzioni affettive, deriva dall'osservazione dei pazienti affetti da epilessia cronica del lobo temporale. Questi soggetti presentano alterazioni caratteristiche del comportamento emotivo. Alcune di queste alterazioni si presentano durante gli attacchi epilettici e sono chiamati fenomeni dell'ictus (dal latino ictus, colpo). Altre alterazioni del carattere si manifestano anche in assenza di attacchi e sono detti fenomeni interictali. Fra le manifestazioni più comuni cui vanno incontro i pazienti durante gli attacchi di epilessia del lobo temporale vi sono: sensazione di distacco dalla realtà o al contrario di «dejà vu» (sensazione di essere già stati in un certo luogo o di avere già visto un determinato gruppo di immagini), allucinazioni visive o acustiche transitorie, senso di spersonalizzazione, di timore, di rabbia, false sensazioni, appetiti sessuali e paranoia. Tuttavia le alterazioni più importanti sono quelle presenti nei pazienti durante gli intervalli fra gli attacchi convulsivi. Queste manifestazioni interictali sono interessanti perché costituiscono una vera sindrome psichiatrica.
Un'analisi dettagliata della personalità dei pazienti aftetti da epilessia del lobo temporale è stata fatta recentemente da David Bear, ai National Institutes of Health. Bear osservò che molti pazienti di epilessia dei lobi temporali perdono ogni interesse relativo alla sfera sessuale. La diminuzione della libido è spesso accompagnata da aumento dell'aggressività. La personalità della maggior parte dei pazienti presenta anche uno o più tratti caratteristici: emotività intensa, fervore religioso, moralismo estremo o mancanza di senso dell'umorismo.
Bear trovò altresì, che queste caratteristiche sono in rapporto con la localizzazione del focus epilettico. Molti pazienti affetti da epilessia del lobo temporale destro presentano esagerazione delle tendenze emotive (iperemotività). Ai contrario, i pazienti affetti da epilessia del lobo temporale sinistro manifestano caratteristiche ideative particolari come il senso di avere una missione personale, una sviluppata autocritica sul piano morale e la tendenza a trovare spiegazioni filosofiche per ogni cosa. Ciò dimostra che talune funzioni affettive possono essere localizzate nel lobo temporale (anche se interessano altre aree cerebrali) e che esiste un'asimmetria degli emisferi cerebrali sia per gli aspetti emotivi che per quelli cognitivi della personalità.
A differenza dei pazienti affetti da epilessia del lobo temporale quelli con foci epilettici localizzati al di fuori del lobo temporale non presentano generalmente anormalità dell emotività e del comportamento. Bear ha ipotizzato che le lesioni irritative dell'epilessia abbiano conseguenze opposte a quelle delle lesioni distruttive che provocano afasia, analizzate da Wernicke. Mentre le lesioni di tipo distruttivo determinano una perdita di funzione, spesso dovuta anche all'interruzione delle vie che connettono aree specializzate, i processi epilettici, al contrario, possono determinare una iperattività delle regioni interessate, che conduce a espressioni emotive eccessive o a elucubrazioni ripetitive di idee.
Alcuni dei sintomi osservati nell'epilessia del lobo temporale sono presenti anche nella schizofrenia. I pazienti epilettici tuttavia, differiscono da quelli schizofrenici in quanto i primi possono stabilire relazioni interpersonali coerenti, sono capaci di affetti profondi (e non freddi o superficiali) e i loro pensieri appaiono logici.
Un terzo tipo di disturbo dell'affettività, chiaramente definito e localizzato nel lobo temporale, è costituito dagli attacchi di timor panico. Gli attacchi di timor panico sono disturbi ansiosi acuti, caratterizzati da brevi episodi spontanei di terrore senza causa apparente. I pazienti avvertono un senso di disastro incombente che si accompagna a
tachicardia e disturbi del respiro. Eli Robins e coll., della Washington University di St. Louis, con esami di tomografia a emissione di positroni (che è un metodo di esplorazione che consente la visualizzazione del flusso sanguigno e delle modificazioni metaboliche cerebrali) hanno osservato nei pazienti che soffrivano di ricorrenti attacchi di timor panico un'alteraiione circoscritta nel giro paraippocampico destro. Il flusso cerebrale è patologicamente aumentato in questa zona rispetto all'area corrispondente dell'emisfero sinistro. Questa alterazione persiste anche negli intervalli fra un attacco e l'altro. Perciò la predisposizione verso questo tipo di disturbo emotivo può essere fatta risalire a una alterazione anatomica permanente e localizzata del tessuto cerebrale.
Questi studi clinici e quelli analoghi eseguiti su animali da esperimento suggeriscono che le manifestazioni del comportamento, ivi comprese le funzioni mentali superiori (sia cognitive che affettive), sono localizzabili in regioni specifiche o in gruppi di regioni cerebrali. Compito della neuroanatomia descrittiva è perciò quello di fornirci la guida funzionale delle localizzazioni presenti nello spazio nervoso a tre dimensioni e cioè una mappa del comportamento. Sulla base di questa mappa noi possiamo utilizzare le manifestazioni del comportamento del paziente, osservate durante un esame clinico, per risalire alla sede delle lesioni.
Questa discussione ci porta ad una considerazione finale. Come mai le prove in favore della localizzazione funzionale, prove che ci sembrano così evidenti e stringenti viste retrospettivamente, sono state più volte respinte in passato?
Le ragioni sono sia storiche che scientifiche. Come abbiamo visto, prima delle ricerche di Pierre Flourens sulla teoria dei campi cerebrali associati, i frenologi avevano già ipotizzato una teoria estremizzante sulle localizzazioni cerebrali: la personologia anatomica. Le successive diatribe fra i sostenitori dei campi cerebrali associati, che erano antilocalizzazionisti, e i sostenitori del connessionismo cellulare, che erano localizzazionisti, si sviluppò perciò come reazione contro una teoria delle localizzazioni che, sebbene esatta in prospettiva, era nei dettagli errata e ridicola. Il concetto di localizzazione che infine prevalse fu temperato da questa disputa e risultò essere molto più complesso di quanto Gall aveva immaginato. Ciò che è localizzato in zone cerebrali limitate non è un gruppo di facoltà mentali complesse, ma un insieme di operazioni elementari spesso eseguite in parallelo. Le facoltà più complesse derivano dalle connessioni reciproche di diverse e molteplici aree cerebrali.
Dal punto di vista scientifico, l'idea delle localizzazioni cerebrali fu accettata con difficoltà perché i clinici e gli studiosi capirono solo gradualmente quali caratteri funzionali erano localizzati e l'importanza che può assumere una rappresentazione multipla in parallelo per ciò che riguarda l'elaborazione delle informazioni da parte del sistema nervoso. Molte funzioni, e in particolare le funzioni mentali più elevate, sono distinte in sottofunzioni, che sono rappresentate non solo in serie ma anche in parallelo, in modo tale che l'elaborazione nervosa di una certa funzione risulta diffusa nel cervello e può venir eseguita in parecchi centri distinti. Ciascuno di questi stadi del processo di analisi, probabilmente, rappresenta un'elaborazione particolare di una certa sottofunzione. Per esempio, abbiamo già incontrato diverse aree distinte per il linguaggio, ciascuna delle quali è deputata ad elaborarne un aspetto particolare; è probabile che altre aree simili siano ancora da scoprire. La conseguenza di queste analisi svolte in serie e in parallelo, è che una lesione che interessi un'area particolare non determina automaticamente la scomparsa di una funzione, ovvero, anche se la funzione può scomparire transitoriamente, essa può ritornare in parte in seguito, perché i centri rimasti indenni possono sia assumere direttamente la funzione o modificarsi in modo tale da poter svolgere il compito principale. Perciò, le basi anatomiche delle localizzazioni relative ad una certa funzione non possono essere considerate come una serie di legami funzionali disposti a catena, in modo tale che se la catena si interrompe tutte le funzioni connesse sono compromesse. Oggi si tende invece a considerare un gruppo di funzioni correlate come il prodotto di molte catene disposte in parallelo. Quando si interrompe una delle connessioni, si interrompe solo una delle catene, ma ciò non compromette in maniera permanente le prestazioni dell'intero sistema.
Un aspetto collaterale di questo problema è che alla teoria delle localizzazioni funzionali mancava l'apporto di una valida scienza del comportamento, mancanza questa che tuttora, in buona parte, persiste. È molto difficile descrivere e misurare obiettivamente i vari aspetti del comportamento. Per studiare con successo le relazioni che intercorrono fra comportamento e localizzazioni cerebrali, dobbiamo essere prima di tutto in grado di identificare in maniera scientificamente rigorosa le proprietà del comportamento che ci sforziamo di interpretare.
Un terzo fattore, forse alla lunga il più importante fra quelli che hanno impedito per così tanto tempo raccoglimento della teoria, delle localizzazioni cerebrali, è la inadeguatezza delle nostre conoscenze sulle relazioni fra l'anatomia del cervello e il comportamento. Il cervello è enormemente complesso e sia la struttura che la funzione di molte delle sue parti sono ancora scarsamente conosciute. Il fervore attualmente esistente nel campo delle neuroscienze riposa sulla convinzione che esistano oggi i mezzi per esplorare l'organo che è sede della mente e da questa consapevolezza nasce l'ottimismo che ci spinge a pensare che è possibile arrivare alla piena comprensione dei meccanismi biologici che stanno alla base delle funzioni mentali superiori.

(Di : Eric R. Kandel).

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